Eccellenza reverendissima, autorità, associazioni d'Arma e dei combattenti e reduci, cari concittadini.
Esattamente 90 anni fa, il 4 novembre 1918, la firma dell'armistizio con gli austro-ungarici poneva fine alla Prima Guerra Mondiale.
La "Grande Guerra" fu un conflitto di proporzioni inedite nella storia dell'umanità, che con decine di milioni di vittime (di cui 600.000 italiani), il coinvolgimento di uno scenario territoriale su scala planetaria e l'applicazione in campo bellico di innovazioni tecnologiche di devastante potenza distruttrice determinò cambiamenti politici e sociali profondi e indelebili, che hanno segnato l'intero '900.
Che cosa celebriamo in questa giornata?
A lungo si è trattato della memoria di una vittoria, la vittoria soffertissima di una guerra nata come offensiva, per completare il disegno risorgimentale di unità nazionale, e poi trasformatasi, dopo la rotta di Caporetto, in guerra difensiva.
Con grande attenzione a sfuggire da ogni retorica, forse è proprio da qui che dovrebbe partire la riflessione storica sul significato di quegli eventi: partire cioè dalla consapevolezza della responsabilità di ognuno nei confronti delle sorti della comunità a cui appartiene, una consapevolezza e una responsabilità che gli italiani, per la prima volta nella loro storia, vissero proprio in quei momenti drammatici.
E' per questo che ai giorni nostri la ricorrenza del 4 novembre ci appare (fortunatamente) ormai spoglia di un nazionalismo inteso come superiorità di un popolo sugli altri e acquista sempre più (nelle intenzioni delle istituzioni, ma anche nell'interpretazione popolare) il carattere di un patriottismo come senso di appartenenza.
Ecco perché, come ha recentemente sottolineato l'ex capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, "commemorare degnamente il 4 novembre non implica affatto glorificare la guerra, bensì il nostro ritrovarci uniti come italiani, perché quel giorno è stato soprattutto questo".
In questo senso, la Grande Guerra è stata per gli italiani la prima, profonda esperienza collettiva, che ha portato la conquista dell'autocoscienza di essere una nazione.
La tremenda esperienza del '15-'18 ci ha lasciato come vera eredità questo sentimento di riconoscenza per tutti coloro che hanno sacrificato le proprie vite non per la gloria di una Patria idealizzata, ma per la difesa di una comunità reale a cui tutti apparteniamo e nei cui confronti tutti portiamo la responsabilità di metterci al servizio del bene comune.
Per la storia, la Grande Guerra è stata sicuramente anche l'ultima guerra combattuta per l'unità territoriale della nazione, ma per noi, oggi, è stata soprattutto il punto di partenza di un cammino per giungere a un senso condiviso di Patria, il senso che le sorti del Paese riguardano le sorti di ognuno.
E tutto ciò non ha nulla a che vedere con il mito censurabile della "bella guerra".
E neppure le lacerazioni sociali che si aprirono dopo la fine del conflitto (alimentate da un altro mito distorto, quella della "vittoria mutilata") e le drammatiche conseguenze che ne derivarono (dal ventennio fascista alla folle complicità con le mostruosità del nazismo) debbono impedirci di trovare negli eventi di 90 anni fa le tracce di una identità nazionale che da lì iniziò a costruirsi.
Non per nulla, nell'Italia repubblicana il 4 novembre è la Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate, a cui la Costituzione assegna il compito di difendere le istituzioni dello Stato democratico
e di operare per la realizzazione della pace e della sicurezza, non solo in Italia ma ovunque nel mondo ce ne sia la necessità.
Oggi, infatti, sono oltre 8.000 i militari italiani impegnati all'estero in operazioni nell'ambito di forze multinazionali, con una professionalità ma soprattutto una capacità di relazioni umane che suscitano il grato consenso delle popolazione locali e l'apprezzamento della comunità internazionale.
Anche noi oggi esprimiamo gratitudine nei loro confronti, perché rappresentano la volontà del nostro Paese, e pertanto la volontà di tutti noi, di portare un contributo concreto non solo al mantenimento, bensì alla costruzione della pace, di una pace che non sia semplice (e pur fondamentale) assenza di guerre, ma che trovi sostegno e legittimazione nella giustizia.
Questo identico sentimento di gratitudine che manifestiamo nel presente per chi si impegna con spirito di dedizione al servizio della pace, ci accompagna nel coltivare la memoria di chi si è sacrificato nel passato.
Riflettere su un momento fondante della nostra storia nazionale, e ricordare il sacrificio dei caduti che perdendo la vita hanno contribuito a costruire la nostra identità di comunità nazionale, è perciò il dovere a cui siamo chiamati ogni 4 novembre.
Un dovere che non è in contraddizione con un altro compito al quale non ci possiamo sottrarre, quello di affermare anche noi, come fece l'allora pontefice Benedetto XV, che la guerra, per sua natura, è sempre "un'inutile strage".
Perché la guerra (come ha ammonito pochi giorni fa monsignor De Scalzi, celebrando a Milano le esequie di Delfino Borroni, ultimo cavaliere di Vittorio Veneto, morto a 110 anni) è sempre <>.
Un fallimento di cui l'Italia moderna, libera e democratica, non vuole più essere partecipe, ripudiando, come sancisce la
Costituzione, la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Fissare questo principio tra i cardini del suo essere nazione, significa dunque per un popolo dichiarare la sua maturità di coscienza, espressione di un'alta dottrina morale e giuridica, che ci permette, anche in periodi travagliati da tanti problemi, di proseguire sulla strada del progresso civile, della giustizia sociale e della costruzione della pace, con un solidale apporto di tutti i cittadini.
Vivere in concorde unità il nostro essere Nazione, cercare nel bene comune la matrice del bene per ognuno di noi e metterci a servizio di questo valore, difendendolo e promuovendolo, è il modo migliore che abbiamo per rendere un omaggio non superficiale né solo formale alle centinaia di migliaia di italiani caduti su ogni fronte nel nome della Patria.
E' questo che vogliamo testimoniare il 4 novembre, ed è questo ciò che siamo chiamati a fare nella nostra realtà di ogni giorno.
Onore ai caduti per la Patria, viva le Forze Armate strumento di pace, viva l'Italia!
Il Sindaco di Lodi
Lorenzo Guerini