VENERDÍ 2 FEBBRAIO
ORE 21.00
AULA MAGNA LICEO PIETRO VERRI
VIA SAN FRANCESCO, 11
INGRESSO LIBERO
La ‘ndrangheta ha strutture familiari e sociali molto arcaiche: le storie delle donne che si sono ribellate a quel mondo rappresentano al meglio questo aspetto culturale e sociale.
Il racconto della criminalità organizzata italiana è, da sempre, focalizzato sugli uomini. Delle mafie conosciamo prevalentemente storie e miti al maschile.
Ma Le donne hanno avuto e tuttora detengono un ruolo importante nelle associazioni di stampo mafioso. Non soltanto di mero sostegno alle figure maschili, ma addirittura assumendone la guida.
Per nostra fortuna, ci sono state anche donne che con le loro rivelazioni hanno contribuito ad un esito positivo delle indagini della magistratura, svelando il funzionamento di tali associazioni criminali: sono i casi di Lea Garofalo, sua figlia Denise Cosco, Giuseppina Pesce e Maria Concetta Cacciola.
Nella 'ndrangheta la famiglia di sangue è sacra e inviolabile.
Malgrado la sua acclarata organizzazione di tipo verticistico e il suo apparentamento con la massoneria, la sua forza risiede, nell'orizzontalità dei vincoli di sangue, che conferiscono alla 'ndrangheta un'indissolubilità, tanto da esser diventata, non solo nell'economia, ma anche nella società, fondamento di una forma diffusa di cultura distorta e deteriore, che va combattuta.
Lo studio delle relazioni interne alle famiglie 'ndranghetiste consente di affermare che la prepotente signoria esercitata dalla mafia calabrese, si estende anche alla vita delle donne di famiglia, quelle donne che troppo spesso divengono strumento dell'organizzazione.
Il cambiamento, allora, potrà avvenire solo se, dall'interno della famiglia, la componente femminile, che tramanda i sub valori mafiosi, rifiuterà tale compito e qualora le donne strumento si trasformino in donne combattenti.
Lea Garofalo viene riconosciuta e rammentata quale simbolo della lotta alla criminalità organizzata. Ex moglie del boss Carlo Cosco, dopo essere diventata testimone di giustizia, fu uccisa dalla ‘ndrangheta il 24 novembre 2009. Aveva 35 anni. I suoi resti furono ritrovati soltanto nel 2012 a San Fruttuoso, una frazione di Monza. Sua figlia Denise Cosco collaborò alle indagini mediate la sua testimonianza diretta. Grazie a ciò, Per l’omicidio furono condannati diversi esponenti mafiosi.
Giuseppina Pesce aveva un ruolo attivo nell’organizzazione criminale: apparteneva a una ’ndrina, quella che porta il nome della sua famiglia, una delle più potenti dell’organizzazione, originaria di Rosarno in provincia di Reggio Calabria. Nel 2010 fu arrestata e nei mesi successivi, nonostante le pressioni della famiglia, decise di collaborare con la magistratura. Nella sua decisione di “pentirsi” fu decisiva la preoccupazione per i tre figli. Grazie alle rivelazioni di Giuseppina Pesce furono arrestati numerosi membri della stessa ’ndrina.
Maria Concetta Cacciola faceva parte di una potente famiglia ’ndranghetista di Rosarno. Nel 2011, per sfuggire alla segregazione cui la costringevano i suoi parenti e preoccupata per il futuro dei figli, decise di collaborare con la giustizia. Fu ammessa quindi nel programma di protezione testimoni e trasferita in località segreta. Pochi mesi dopo, però, cedendo alle pressioni della famiglia e impensierita per i suoi figli, tornò a Rosarno. Il 20 agosto 2011 venne trovata morta nel bagno di casa dopo aver ingerito dell’acido muriatico: aveva trentun anni. Nel 2014 la madre, il padre e il fratello sono stati condannati per maltrattamenti.