UNA STORIA QUASI SOLTANTO MIA, A 40 ANNI DALLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA INCONTRO CON LA VEDOVA PINELLI
Licia e Pino si conobbero nel 1952 a un corso di esperanto, a Milano. Lei voleva imparare la "lingua universale" che avrebbe facilitato la comprensione tra i popoli e portato la pace; lui voleva prendere il diploma e insegnarlo. Comincia così la loro storia d'amore. Licia, che ha cominciato a lavorare come dattilografa a tredici anni, fa la segretaria e abita in un palazzo popolare in viale Monza. Quando finisce il lavoro fa a piedi il tragitto fino a casa con Pino. Parlano tanto, hanno ideali comuni e amano leggere. Dopo due anni di fidanzamento si sposano, nonostante le diffidenze dei genitori, e conducono una vita bohémien. Pino fa il ferroviere, è anarchico e, dato che con la nascita delle due figlie Licia lo spinge a uscire, si butta nella politica attiva.
Per casa c'è sempre gente, e a Licia piace. Poi arriva la notizia della morte di Pino, che si sarebbe suicidato gettandosi dalla finestra della questura, nell'ufficio del commissario Calabresi. Licia non ci crede. Secondo lei, il marito è stato picchiato, creduto morto e buttato giù. Poi arriva l'omicidio Calabresi. Licia prova orrore alla notizia, ma vuole sapere la verità e avere giustizia perché ha fiducia nello Stato di diritto. E, a quarant'anni di distanza, vorrebbe ancora la verità.
Nel 40° anniversario della strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969), il Comune di Lodi, l'Anpi Provinciale del Lodigiano e l'Istituto Lodigiano per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea organizzano per mercoledì 25 novembre (ore 21.00, Aula Magna del Liceo Classico Verri, in via San Francesco) un incontro con Licia Pinelli, vedova di Giuseppe Pinelli, e con Piero Scaramucci, coautore del libro Una storia quasi soltanto mia (Feltrinelli).
Questa è la storia che Licia Pinelli mi raccontò all'inizio degli anni ottanta - spiega Scaramucci - Era rimasta appartata, quasi silenziosa per una decina d'anni, da quell'inverno del 1969, quando la bomba fece strage alla Banca dell'Agricoltura di piazza Fontana a Milano, suo marito Pino, ferroviere anarchico, precipitò da una finestra della questura e l'Italia scoprì che la democrazia era sotto attacco. Licia si era tenuta lontana dai riflettori concentrandosi in una tenace battaglia per ottenere giustizia dalla Giustizia. Non la ottenne. Dopo dieci anni Licia fece forza sul suo severo riserbo e si decise a raccontare di sé e di quel che era successo. Scelse lei stessa di parlare e mi chiese di intervistarla. Non fu un percorso facile, per Licia fu come reimparare a parlare e a guardare dentro se stessa dopo anni di silenzio e autocensura. Oggi, a distanza di tanto tempo, questo racconto appare come un documento di rara verità, chi vorrà scrivere la storia di quegli anni durissimi non ne potrà prescindere.
(24-11-2009)